LA PRIMA DIFFUSIONE
Il cristianesimo in Italia si diffuse dapprima a Roma, in seguito nelle città municipali e solo più tardi nei distretti delle campagne. Le popolazioni contadine erano infatti le più conservatrici in fatto di costumi e di credenze religiose, perciò gli abitanti dei PAGI (con il vocabolo “pagus” i Romani si riferivano ad una circoscrizione amministrativa territoriale rurale) rimasero più a lungo attaccati alla vecchia religione, onde il nome dispregiativo di PAGANI (residenti del “pagus”) attribuito loro dagli abitanti convertiti delle città. Fra il III e il IV secolo d.C. la nuova religione si diffuse anche nelle campagne dell’Etruria, favorita dalla presenza delle vie romane consolari. Non è un caso che le chiese paleocristiane delle campagne siano sorte quasi tutte in prossimità di vie di grande traffico. La consapevole predicazione di santi e vescovi, spesso appartenenti alle classi elevate, trovò tuttavia l’opposizione delle autorità romane, tant’è che i primi predicatori furono quasi tutti martirizzati, ma ciò non arrestò le conversioni, anzi ne accelerò la diffusione, soprattutto anche per l’onda emotiva provocata dal compianto di simili atrocità.
PERSECUZIONI E MARTIRI
SANTA MUSTIOLA di Chiusi fu martirizzata neI 258, durante la persecuzione di Diocleziano e Massimiano; a partire dal 304 furono martirizzati ad Arezzo il vescovo SAN DONATO e sulle rive dell’Arbia SANT’ANSANO, evangelizzatore dei senesi, mentre SAN MARCELLINO, che era forse un diacono mandato da Donato ad evangelizzare quelle zone, fu martirizzato a Monterongriffoli.
Queste testimonianze ci fanno comprendere come l’organizzazione ecclesiastica nelle campagne possa risalire al III secolo; e di conseguenza gli edifici di culto furono costruiti più tardi, quando la nuova religione fu ammessa dalla legge, ovvero dopo l’editto di Costantino del 313. Ma le chiese dovevano essere state rare almeno fino alla legge degli imperatori Teodosio, Valentiniano e Arcadio del 391 d.C, con la quale, proibendo severamente la celebrazione di riti pagani, fecero di fatto del cristianesimo l’unica religione consentita nell’Impero. Un’ulteriore incoraggiamento alla costruzione di edifici religiosi venne poco dopo da un editto di Onorio (Milano 398 d.C.), con il quale si ordinava ai vescovi di stabilire a loro giudizio un numero certo di chierici locali nei pagi e nei VICI (Il “vicus” per i Romani era un aggregato di case e terreni appartenente ad un pagus), tenendo conto della loro grandezza.
Furono allora costruite anche nel nostro territorio CHIESE MADRI (nei “pagus” principali e Asciano probabilmente lo era), battisteri e oratori, specie lungo le vie principali e sui luoghi dove i santi evangelizzatori avevano subito il martirio.
L’ANTICHITÀ DELLE CHIESE
UN IMPORTANTE CRITERIO PER STABILIRE LA DIFFUSIONE DEL CRISTIANESIMO IN UN’AREA, è determinare l’antichità delle chiese. A prescindere dalle testimonianze architettoniche che spesso hanno avuto modifiche successive, uno dei metodi principali è accertarsi il culto del Santo a cui la chiesa era dedicata in principio. Solitamente vengono suddivisi i santi titolari delle chiese in varie categorie, secondo un ordine che va dai titolari che hanno ricevuto un culto più antico a quelli che hanno ricevuto un culto più recente:
- chiese dedicate non ad un santo, ma alla Trinità, al Salvatore e allo Spirito Santo;
- chiese dedicate alla Vergine;
- chiese dedicate agli Apostoli, ivi compresi S. Giovanni Battista e S. Stefano;
- chiese dedicate a martiri romani e a vecchi santi italiani;
- chiese dedicate a santi gallo-romani (Martino, Sinforiana, Desiderio);
- chiese dedicate a santi del paese;
- chiese dedicate a santi germanici;
- chiese dedicate a santi dell’oriente (Nicola, Biagio, Giorgio, Barnaba).
Tali punti possono essere semplificati con il seguente sviluppo:
- chiese dedicate a santi di rinomanza universale, la Vergine, S. Pietro, gli altri Apostoli, S. Giovanni Battista, S. Stefano,
- chiese dedicate a santi locali martirizzati;
- chiese dedicate a santi stranieri;
l Longobardi ad esempio, che succedettero ai Bizantini (568 d.C.) fondarono, dopo la loro conversione al cattolicesimo, numerose chiese private per arimanni, per lo più accanto alle foreste da loro occupate, oppure chiese monastiche in luoghi solitari, dedicandole quasi tutte alloro santo prediletto, S. Michele Arcangelo = S. Angelo.
I SANTI DEDICATI ALLE CHIESE LOCALI
Come vedremo in seguito, sarà di fondamentale importanza un documento risalente al 714 d.C. in cui sono citate 19 chiese del territorio tra Siena e Arezzo (esiste un documento più antico risalente al 650 d.C. ma dove appaiono meno chiese). Esaminando l’elenco del 714, prendiamo in considerazione le chiese, CHE DEVONO ESSERE STATE SICURAMENTE LE PRIME DEL TERRITORIO e possiamo constatare che I LORO SANTI TITOLARI RIENTRANO TUTTI NELLE CATEGORIE DEI SANTI, CHE RICEVETTERO UN CULTO PIÙ ANTICO:
S. IPPOLITO (Asciano): Ippolito vissuto nel III sec. morto in seguito alla sua deportazione in Sardegna, durante la persecuzione di Massimino il Trace; sappiamo che fu eretto in suo onore alla fine del IV sec. un oratorio a Roma sul vico Patricio, dal presbiterio Ilicio.
S. GIOVANNI IN RANCIA (poi Vescona) dedicato a S. Giovanni Battista: la sua predicazione è addirittura antecedente e strettamente collegata con l’opera di Gesù Cristo.
S. VITO IN VESCONA (poi in Versuris), vissuto anche lui nel III secolo subì il martirio nel 303 durante la grande persecuzione voluta dall’imperatore Diocleziano.
S. IPPOLITO «IN SESSIANO»; è l’attuale chiesa posta fuori Asciano. Delle sue tre navate primitive, desumibili dai pilastri quadrati inseriti ora nelle pareti, si conserva solo la centrale e quella di destra adibita ad abitazione. Mantenne i diritti di chiesa battesimale fino al 998. Il toponimo prediale Sciano, Sisciano, Sessiano, deriva dal gentilizio latino “Sessius”.
S. GIOVANNI IN RANTIA (O IN RANCIA da cui deriva la zona chiamata RENCINE) sulla Lauretana e l’antico tracciato della strada romana per Siena. L’edificio paleocristiano sorgeva in località Pieve non lontano dall’attuale Pievina di S. Giovanni, detta nei documenti dopo il mille: «in Vescona». Il toponimo Vescona deriva dall’etrusco «Vescu», (forse dal gentilizio Vesconio o dal latino vescus magro sottile); Rantia dall’etrusco “Arantia”.
S. VITO IN VESCONA (in effetti in linea d’aria non lontano dall’attuale Vescona), detta dal 1029 in poi: “plebs S. Viti in Versuris”, è l’attuale chiesa parrocchiale di S. Vito presso Monte Sante Marie. Versura deriva da «vertere terram» e indica una misura agraria per l’ara tura dei campi. L’edificio, già a 3 navate, divise da pilastri che sorreggevano archi oggi murati nelle pareti, risale al sec. XI e conserva la navata centrale allungata anteriormente e parte delle due laterali, con pavimento sopra elevato rispetto all’antico e due colonne addossate al grande arco absidale.
IL SIGNIFICATO DI MATER ECCLESIA
Adesso cercheremo attraverso l’interpretazione dei documenti di capire il periodo di riferimento delle prime chiese locali. Come vedremo e lo sarà anche per S. IPPOLITO IN SESSIANO, alcune vecchie chiese sono citate nei documenti come MATER ECCLESIE. Il senso di tale appellativo, secondo molti studiosi, non può essere che uno solo: ESSO INDICA CHE QUELLA DETERMINATA CHIESA È MATRICE (cioè fondatrice) DI ALTRE CHIESE SORTE SUCCESSIVAMENTE.
Nel documento sopra menzionato, il titolo di “MATER ECCLESIA”, è attribuito oltre che alla chiesa di Sessiano, alle chiese di Pava (S. Pietro a Pava presso S. Giovanni d’Asso), di Cosona (S. Maria a Cosona presso Pienza), di Castello Puliciano (S. Maria di Montepulciano), di Misula (S. Pietro ad Mensulas a Pieve di Sinalunga), di Matrichese (S. Maria presso Montalcino), nello stesso documento appaiono altre chiese fornite di fonte battesimale ma sono denominate “baptisterium” e non “Mater ecclesia”. In base alle testimonianze successive (che riporteremo in seguito) possiamo affermare che tutte queste chiese matrici, cioè fondatrici di altre chiese nel loro territorio, POSSONO ESSERE STATE FONDATE ALMENO NEL V SECOLO.
DIOCESI ARETINA E SENESE
Prima di entrare in merito ai documenti del 650 e del 714 d.C. dove appare la lista delle chiese del territorio all’epoca, bisogna aver chiaro come è sorto il contrasto tra Siena e Arezzo e soprattutto come è nata la Diocesi di Siena. L’opinione di studiosi come Davidsohn e Bianchi Bandinelli, ritiene che UNA PARTE DEL TERRITORIO del municipio romano di Arezzo (SUI CUI CONFINI SI MODELLÒ LA DIOCESI ARETINA) comprendente i 19 distretti parrocchiali che saranno contesi nel 714, era stata unita dai Longobardi al TERRITORIO CIVILE DI SIENA. Il vescovo aretino, nonostante tale annessione, non rinunciò a far valere i suoi diritti spirituali su quei distretti, trovandosi però contro il vescovo di Siena che cercava di acquisire quelle 19 pievi, per evidenti questioni di prestigio e potenza.
Ma perché la circoscrizione di Arezzo in età romana giungeva quasi alle porte di Siena? La ristrettezza dei confini del territorio del municipio romano di Siena e della rispettiva Diocesi è spiegata da BIANCHI BANDINELLI in questi termini: “L’esiguità del territorio della colonia senese mostra di esser ritagliato da un altro maggiore. Non esito ad affermare che il territorio di Siena romana, elevato a dignità di colonia, sia stato ritagliato dal territorio volterrano.
Si riconnettono con i tipi volterrani (reperti archeologici), i dati ritrovati a occidente dell’Arbia, sicché è da pensare che il fiume Arbia fosse stato il confine dell’amplissimo territorio volterrano (con quello di Arezzo) fin dal tempo etrusco”. QUINDI, IL MUNICIPIO ROMANO DI SIENA RITAGLIATO DA QUELLO DI VOLTERRA, CONFINAVA CON QUELLO DI AREZZO INTORNO AL FIUME ARBIA, e così sarà per la sua Diocesi ecclesiastica.
CRESCITA IMPORTANZA DI SIENA
Successivamente crebbe l’importanza di Siena e del suo territorio. I longobardi, dovettero aprire una nuova strada detta nel Medioevo Via Francesca o Francigena o anche «Via Romea», la quale, sostituendo la litoranea Via Aurelia divenuta ormai malsicura (impaludamento della Maremma), univa Roma alla Francia e in genere ai paesi del Nord. Conformandosi al tracciato della vecchia Cassia fino a Bolsena e proseguendo poi per Acquapendente, S. Pietro in Paglia, Briccole, S. Quirico d’Orcia, Torrenieri, Ponte d’Arbia, Siena, Badia ‘a Isola, Borgo d’EIsa, S. Gimignano, S. Maria a Chianni, S. Genesio di S. Miniato, Fucecchio sull’Arno, Porcari, Lucca, Camaiore, Luni, Aulla, Pontremoli, attraversato il passo della Cisa, si univa alla via Emilia tra Parma e Fidenza. Siena venne a trovarsi così lungo una delle più importanti vie di comunicazione del tempo e di ciò non dovette tardare molto a sentire dei vantaggi, comprese le pretese delle autorità civili e di conseguenza religiose ad ingrandire le proprie giurisdizioni e la diocesi ecclesiastica.
LE PRIME RICHIESTE DI SIENA NEL 650.
Analizziamo adesso il primo documento del 650. Esso contiene un compromesso fra Mauro vescovo di Siena e Servando vescovo di Arezzo in cui appare il primo tentativo di un vescovo senese di allargare la propria diocesi a spese del vescovo aretino. La carta è di fondamentale importanza, perché scritta a circa 70 anni di distanza dall’invasione longobarda, quando molte persone anziane potevano ricordare o per esperienza diretta, o almeno per sentito dire dai vecchi che avevano vissuto buona parte della loro vita prima dell’invasione, i fatti antecedenti alla venuta dei Longobardi in Toscana del 575 circa. Occorre notar prima di tutto che il vescovo di Siena non rivendica tutto quel territorio che sarà oggetto di litigio nel 714, ma soltanto alcune chiese poste direttamente sui confini tra e le due diocesi: S. Ansano presso l’Arbia, S. Maria in Pacina, S. Gervasio presso Modanella, S. Restituta, S. GIOVANNI IN VESCONA. È la prima testimonianza di un edificio dedicato al culto cristiano nel territorio ascianese.
LE TESTIMONIANZE DEL 650
Il documento si basa sulle testimonianze di vecchi preti. Si decide da parte dei due vescovi (aretino e senese) di interrogarli per sapere a chi appartenevano queste chiese prima dell’invasione Iongobarda. Si presenta a deporre «TROPUS», prete proveniente dalla zona contesa, che così testifica: il prete ricorda che dal 610 quelle chiese erano appartenute alla diocesi di Arezzo. Non solo, egli ha saputo dai vecchi sacerdoti che fin dal tempo di Narsete (generale bizantino) che guerreggiò in Italia contro gli Ostrogoti dal 536 al 568 quelle chiese erano appartenute ad Arezzo. E’ SUFFICIENTE QUESTA TESTIMONIANZA PER CONCORDARE PACIFICAMENTE CHE LE CHIESE CONTINUINO AD APPARTENERE AL VESCOVO DI AREZZO.
I FATTI DEL 711
Come Mauro vescovo di Siena riconobbe il diritto della chiesa aretina sulle 5 chiese confinanti, cosi anche i suoi successori continuarono in tale atteggiamento, limitandosi a consacrare qualche chiesa o qualche prete della diocesi aretina, dietro invito dei sacerdoti aretini fatto quando la loro sede vescovile era momentaneamente vacante: ciò è ripetuto più volte dalle testimonianze del documento del 715 l. I vescovi di Siena tuttavia, insieme ai gastaldi della città, dovevano mal sopportare la presenza del vescovo aretino in territorio senese, vedendovi probabilmente un pericolo per la propria giurisdizione, e dovevano aspirare a un ingrandimento della loro diocesi, Fu in occasione de a visita di Luperciano al “baptìsterium” di S. Maria in Pacina, non lontano da Siena, che il malcontento dei senesi provocò un conflitto sanguinoso, nel 711.
Ascoltiamo come il primicerio della cattedrale di Arezzo, Gerardo, ci racconta il doloroso fatto che provocò una rissa e l’uccisione del giudice di Siena, Godiberto: Luperciano, vescovo aretino, venne presso la pieve di S. Maria in Pacina, con pacifico e quieto ordine facendo. In quel tempo Siena era governata per conto del re dei Longobardi, da Godiberto, il quale si recò insieme con il gastaldo Taiberto, alla pieve di S. Maria in Pacina, non facendo alcuna riverenza al vescovo, anzi iniziando a motteggiare gli uomini dello stesso vescovo. La quale cosa gli uomini del seguito del vescovo non volendo sopportare in pace, assalendolo, uccisero Godiberto. Per la qual cosa tutto il popolo senese s’infiammò d’ira contro il vescovo aretino lo scacciò, e fece tenere quella parrocchia per un anno ad Adeodato vescovo senese, tra l’altro cugino del predetto giudice Godiberto che gli aretini avevano ucciso.
ESTENSIONE RICHIESTE DELLE PIEVI: LA LISTA
Il vescovo di Siena, quindi estese le sue pretese sulle parrocchie di tutto il territorio civile. Ecco l’elenco delle 19 chiese contese ad Arezzo:
- S. Stefano “in Cennano” (presso Castelmuzio};
- S. Maria “in Cosona” (presso Cosona);
- S. Ippolito “in Sessiano” (presso Asciano);
- S. Giovanni “in Rantia” (presso Vescona di Asciano);
- S. Andrea “in Malcenis” (presso Trequanda);
- S. Pietro “in Pava” (presso S. Giovanni d’Asso);
- S. Maria “in Pacina” (presso) Castelnuovo Berardenga);
- Santi Quirico e Giovanni “in vico Falcino” (S. Quirico Orcia);
- S. Restituta “in fundo Rexiano” (presso Montalcino);
- S. Felice “in Avano” (presso Brolio in Chianti);
- S. Madre Chiesa “in Misulas” (Pieve di Sinalunga);
- S. Valentino “in caselle Ursina” (presso Montefollonico);
- S. Vito “in Rutiliano” (presso Pienza);
- S. Madre Chiesa “in Castello Pulliciano” (presso Montepulciano);
- S. Vito “in Vescona” (presso Torre a Castello);
- S. Donato “in Citiliano” (presso Palazzo Massaini);
- S. Maria “in Saltu” (Pieve a Salti);
- S. Vito “in Pruniano” (Pievecchia, presso Montalcino);
- S: Vito “in Osenna” (Romitorio di S. Rocco presso S. Quirico d’Orcia).
A queste si può aggiungere la Mater Ecclesia di S. Maria a Matrichese presso l’Osservanza di Montalcino.
IL GIUDICATO DEL 714 E LE ALTRE ANTICHE CHIESE NEL TERRITORIO DI ASCIANO
Appena passò per Arezzo un maggiordomo del re longobardo Liutprando di nome Ambrogio, Luperciano vescovo di Arezzo espose le violenze patite da parte del vescovo di Siena. Il missus cita al suo tribunale il vescovo Adeodato insieme con il Gastaldo Ariberto. La pretesa di Luperciano fu ritenuta valida dal maggiordomo Ambrogio che aggiudicò alla chiesa aretina le pievi contese. Si affermava che ancor prima della guerra tra bizantini e ostrogoti (535-553) le chiese appartenevano ad Arezzo. QUINDI ESSE RISALIVANO AL VI SECOLO. Ma come abbiamo visto nella lista, alcune di queste erano ancora più antiche poiché MATER ECCLESIAE e quindi per loro (tra cui S, IPPOLITO IN SESSIANO), la data di edificazione è da far slittare ancora più indietro PROBABILMENTE VERSO LA FINE DEL V SECOLO.
Nella ratifica dell’atto del 714, avvenuta l’anno seguente, risultano facilmente individuabili altre strutture religiose tra cui il MONASTERO DI S. ANGELO IN FUNDO LUCO, che dall’estimo di Chiusure si deduce essere la primitiva struttura (oggi scomparsa) dell’attuale parrocchia di S. Michele Arcangelo a Chiusure. Fondato nei primissimi anni dell’VIII secolo da Zottone, figlio del gastaldo senese Wilerat, il monasterium doveva configurarsi piuttosto come un oratorio privato, similmente ad altre fondazioni promosse da personaggi di alto rango sociale. Sempre della stessa epoca, ma situata non nel territorio della contesa, è la pieve di S. MARTINO IN GRANIA la cui prima citazione risale all’801 quando Pipino re d’Italia e figlio di Carlo Magno, la pose sotto le dipendenze del monastero femminile dei SS. Abbondio e Abbondanzio (detto di S. Bonda presso Siena)
CONSACRAZIONE DEI PRETI
Il baptisterium aveva una grande importanza nella vita religiosa, come scrive Alfredo Maroni: “Il fonte battesimale appartiene unicamente al baptisterium, i fedeli che frequentano per il culto le chiese subalterne, sono obbligati a servirsi del fonte del baptisteriurn … Insieme al fonte, il baptisterium conserva il sacro crisma da usarsi per i fedeli di tutto il suo territorio, soprattutto per la consignatio in populo (la cresima), crisma che ogni anno viene preso nella cattedrale di S. Donato ad Arezzo e portato nei singoli baptisteria dai presbiteri stessi“.
Il presbyter del baptisterium proponeva al vescovo la consacrazione dei chierici a sacerdoti e la loro nomina a rettori degli oratori subalterni (talvolta detti oracula). Se invece la chiesa era privata, allora era in genere il proprietario fondatore o un suo discendente che inoltrava al vescovo la proposta di nomina del rettore. L’elezione del presbyter del baptisteriurn spettava invece al popolo della pieve e al clero del baptisterium, ma vi partecipava anche l’autorità civile (iudex o gastaldus nell’epoca longobarda), che inoltrava dopo l’elezione una lettera rogatoria al vescovo. Se ne potrebbe desumere che il presbyter doveva essere persona gradita all’autorità civile, anche se pare che non sempre questo avvenisse.
Infatti nell’epoca presa in esame, i documenti citano ONIUS prete di S. IPPOLITO il quale si presenta al vescovo di Arezzo senza nessuna lettera, ma unicamente perché eletto dal suo popolo.
VITA DI CHIESA
I preti facevano vita comune e vivevano delle elemosine e dei proventi dei beni lasciati alla chiesa. Il plebanus poteva prendersi le elemosine delle chiese subalterne e riscuoteva le decime. Era lui che istruiva i chierici, che potevano restare tali per tutta la vita, anche se in genere diventavano a loro volta preti e passavano a dirigere le chiese minori. I neonati del territorio venivano quindi portati per il battesimo ad Asciano a Sant’Ippolito (almeno fino al 998), e in tempi più tardi a Sant’ Agata (almeno a partire dal 1040); in genere la cerimonia battesimale avveniva in giorni fissi, poche volte l’anno.
LE ALTRE CHIESE NEI PRIMI SECOLI DEL MILLE
Nel 1040, la chiesa più importante del territorio di Asciano con proprio fonte battesimale, traslocato da S. Ippolito, è la chiesa sotto il titolo di Sant’Agata: ne riferisce un testamento del conte della Scialenga, Ranieri figlio del conte Gualfredo,repliki zegarków a proposito dell’ubicazione «infra plebem S. Agathae» di un vigneto e di un pezzo di terra. Nel 1045 il vescovo d’Arezzo, Immone, assegna la pieve di Sant’Agata in amministrazione al capitolo della sua Cattedrale.
Di seguito le altre chiese nell’attuale territorio di Asciano documentate nei primi secoli del Mille:
S. Biagio alle Cortine 1160
La ecclesiam sancti Blasii de Cortina apparteneva alla giurisdizione del monastero di S. Salvatore a Fontebona
La Canonica S. Clemente presso Montecerconi 1116
La prima menzione dell’edificio religioso risale all’anno 1116, quando viene affidato dal pievano di S. Vito ai rettori della chiesa dei SS. Matteo e Agata di Montecerconi.
S. Matteo a Montecerconi – 1115
Poche sono le notizie riguardanti la chiesa e le più antiche risalgono a due atti degli inizi del XII secolo. Nel 1115, infatti, S. Matteo viene donata al pievano di S. Vito dal conte Gualfreduccio Spadalonga,
S. Giovanni a Collanza 1187
La prima menzione della chiesa risale all’anno 1187, quando in un documento compaiono come testimoni presbiter Martino e presbiter Guido di S. Iohannis de Collansoli
S. Maria a Salteano 1189
Le prime attestazioni provengono da alcuni documenti di fine XII secolo e da un atto vescovile del 1224 che confermava beni e giurisdizioni della detta chiesa di Salteano.
S. Giovanni a Capomodine 1024 – XVIII secolo
La prima attestazione proviene da un documento del 1024 per mezzo del quale alcuni esponenti della casata dei Berardenghi la donano al Monastero di Fontebona.
S. Lucia/S. Cecilia a Medane 1081
La chiesa è attestata con l’antico titolo di Santa Cecilia in due privilegi degli imperatori Enrico IV e Federico I (anni 1081, 1185) e in due bolle dei pontefici Alessandro III e Innocenzo III (anni 1176, 1207), come proprietà del Monastero di S. Eugenio di Siena.
S. Maria a Milanino 1081
L’unica testimonianza della chiesa proviene dal privilegio di Enrico IV del 1081, che confermava la giurisdizione su due parti della stessa all’Abbazia di S. Eugenio di Siena
S. Pietro a Milanino 1081
In un privilegio di Enrico IV del 4 giugno 1081, viene confermata la giurisdizione sulla terza parte della chiesa di S. Pietro in Malenino all’Abbazia senese di S. Eugenio
S. Andrea a Mucigliani 1181
La prima attestazione risale ad un documento di permuta redatto nel 1181 tra alcuni esponenti della famiglia dei Berardenghi ed i canonici della Cattedrale di Siena
S. Andrea a Montauto 1140
La chiesa risulta attestata fin dal XII secolo, quando viene confermata sotto la giurisdizione del Monastero di Rofeno dalle bolle di Papa Innocenzo II (1140) e Papa Adriano IV (1157).
Abbadia a Rofeno 1031
Il monastero fu fondato per volontà e devozione dai signori di Rofeno, presso il loro castello, attraverso un atto di donazione del 1031.
chiesa Monte Bernardi 1140
Sull’esistenza della chiesa, abbiamo notizia soltanto da due bolle papali del XII secolo. Innocenzo II, nel 1140 e Adriano IV, nel 1157, infatti, confermarono i diritti sulla curtem de monte Bernardi cum ecclesia al monastero di Rofeno.
S. Andrea a Rigoli 1140
La chiesa di S. Andrea è attestata dalle bolle papali di Innocenzo II e Adriano IV (anni 1140 e 1157) nella curtem de Monte Martini, località scomparsa che tuttavia è possibile collocare nelle vicinanze dell’attuale Rigoli.
S. Martino a Rigoli 1140
La chiesa di S. Martino, localizzata nella corte di Montemartini, viene confermata al monastero di Rofeno dalle bolle papali di Innocenzo II e Adriano IV (anni 1140, 1157).
S. Angelo/S. Michele a Ucinilla 1081
La chiesa di S. Angelo o S. Michele era originariamente una possessione del monastero senese di S. Eugenio.
S. Pietro a Gré 1051
La prima attestazione della chiesa Sancti Petri in Gre vicino a Chiusure è contenuta all’interno del diploma di Enrico III del 1051, per mezzo del quale veniva confermata tra le proprietà dell’abbazia di Sant’Antimo.
LE CHIESE NELLA BOLLA PAPALE DEL 1178
Nel 1178 il senese Papa Alessandro III Bandinelli, emette una bolla nella quale conferma al pievano ascianese di S. Agata la giurisdizione su 27 strutture ecclesiastiche ed il possesso di alcune proprietà tra le quali quella di un mulino sul fiume Buteri. Probabilmente la progressiva espansione politica della città senese e forse, ancor più, il timore che potevano suscitare le pretese del vescovo cittadino alimentate dalla secolare disputa, aveva spinto lo stesso pievano di Asciano, come viene rivelato nel documento, a rivolgersi al pontefice.
Le chiese soggette al piviere di S. Agata, poste cioè nel territorio della sua giurisdizione, erano:
- Chiesa di S. Salvatore
- Chiesa di S. Bartolomeo (entrambe nel castello di Asciano oggi scomparse)
- Chiesa di S. Leonardo (presso l’omonimo borgo oggi scomparsa)
- Oratorio di S. Nicola o Niccolò di Camparboli (oggi scomparso, sostituito dalla chiesa della Natività detta del Giardino)
- Pieve vecchia di S. Ippolito
- Chiesa di S. Angelo di Colle d’Aveno (scomparsa forse presso il colle di S. Lucia presso Palazzo Monaci)
- Chiesa di S. Pietro a Fontodori (scomparsa forse nel castello di Funino prossimo al fiume Ombrone)
- Chiesa di S. Maria a Monte Mori
- Chiesa S. Giovanni a Montecontieri (presso Palazzo Venturi)
- Chiesa S. Giusto (scomparsa forse nella zona di Montecontieri)
- Chiesa S. Tommaso di Retessa (scomparsa presso i poderi di Rintessa e Rintessino)
- Chiesa di Montefranchi (scomparsa presso Montecontieri)
- Chiesa S. Andrea di Fabro (scomparsa forse presso Saltafabbro strada vecchia per Chiusure)
- Canoniche di S. Maria a Grossennano
- Chiesa di Baccoleno
- Chiesa S. Maria di Finerri (scomparsa)
- Chiesa S. Prospero (scomparsa forse nella zona tra Balloccio e Rabatta)
- Chiesa S. Pietro in Guarazzano (scomparsa forse tra S. Gemignanello e le Serre)
- Chiesa S. Severo (scomparsa forse tra i poderi il Noceto e al Sala)
- Chiesa di S. Lorenzo (scomparsa presso il podere S. Lorenzo fuori dalle Serre)
- Chiesa S. Andrea
- Chiesa del castello di Serre (entrambe a Serre di Rapolano)
- Chiesa di S. Geminiano di Castelvecchio (scomparsa presso il podere omonimo vicino S. Gimignanello)
- Chiesa di S. Fabiano del castello di Rodolfo (nel castello di S. Gemignanello)
- Chiesa di S. Maria (scomparsa presso S. Gemignanello, un podere nei pressi conserva il nome)
- Chiesa di S. Maria di Gaggio (scomparsa, presso le SS. Marie in prossimità della zona industriale di Asciano)
- Chiesa di S. Angelo di Torrentino (scomparsa)
- nonché l’Eremo di Montalceto.