EX PIEVE DI S. IPPOLITO

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Storia

La pieve di S. Ippolito in Sessiano, probabilmente edificata già in epoca tardo antica (V-VI sec d.C.) presso la mansio romana Umbro Flumen, viene attesta con precisione (santa mater ecclesia in Sessiano) solo a partire dal 714 tra le strutture ecclesiastiche contese dai vescovi di Siena e di Arezzo. Proprio per questa sua definizione di chiesa madre, ossia chiesa matrice di altre chiese del circondario, è possibile far risalire la sua costruzione in tempi molto antecedenti, ma sicuramente dopo la cristianizzazione della zona avvenuta ad opera di S. Donato, poi vescovo di Arezzo nel IV secolo d.C. Successivamente alla contesa, mantenne i diritti di chiesa battesimale almeno fino al 998, per poi essere sostituita, nel corso dell’XI secolo, dalla vicina S. Agata. Tra XVI e XIX secolo, le visite riportano varie volte la Ecclesia Sancti Hipolliti extra castrum Asciani, la quale sarà ridotta a capanna e ufficialmente chiusa al culto nel 1869. Grazie alla volontà del nuovo proprietario, Mario Bargagli, la chiesa viene restaurata e nuovamente officiata nel 1887 (“La mattina del dì 20 marzo 1887 venne solennemente da me benedetta, per concessami delegazione di Monsignor Vescovo; e la sera dal Padre Placido della Romola, Minore Riformato, vi venne affissa con solennità la Via Crucis” da una memoria di Don Paolo Bonichi). Nuovamente abbandonata nel periodo tra le due guerre mondiali, la chiesa di proprietà della famiglia Panichi, ha vissuto recentemente una rinascita; aperta di nuovo al culto nell’agosto del 2013, è stata al centro di nuove attività di studi e restauri tra gli anni 2013 e 2015.

Pieve di S. Ippolito

 

Architettura

La struttura attuale è caratterizzata da un’unica aula rettangolare anche se originariamente doveva possedere un impianto basilicale a tre navate databile a non più tardi della fine del X secolo. Ciò è intuibile da alcune arcate a tutto sesto tamponate, presenti su entrambi i lati e all’interno di corpi di fabbrica ad uso abitativo che si addossano alla chiesa. Il lato posteriore risulta occultato da una struttura di rimessa. La facciata, caratterizzata da un portale ad architrave sormontato da arco a tutto sesto, è, invece, databile all’epoca romanica.

Pieve di S. Ippolito

 

Arte

La chiesa si presenta oggi ad una navata, un unico altare e un affresco sopra di esso, posizionato in un’edicola a forma di lunetta nella parte alta. L’affresco attribuito già dai primi dell’800 ad un artista senese minore (Giacomo Pacchiarotti) presenta una Sacra Conversazione composta dalla Madonna in Trono col Bambino e i Santi Pietro, Paolo, Ippolito e Cassiano

Pieve di S. Ippolito

Ai lati dell’immagine centrale il dipinto continua con finte nicchie nelle quali si trovano, a sinistra le figure di San Domenico e Sant’Agostino, a destra Sant’Antonio da Padova. All’estrema destra dell’affresco è stata scoperta dopo il restauro un’ultima immagine che in epoca imprecisata, era stata sostituita da un finto tendaggio; oggi le labili tracce non permettono un riconoscimento chiaro, anche se l’ipotesi più convincente fa pensare ad un S. Gerolamo penitente.  Di questo bellissimo affresco, eseguito a più mani, come appare chiaro, è abbastanza certa l’attribuzione ad artisti umbri. Secondo Savelli, di scuola umbra sarebbe infatti la Madonna con Bambino attribuita al Pinturicchio, maestro di bottega di Raffaello.

Pieve di S. Ippolito - particolare

Ma ciò che colpisce a prima vista è indubbiamente il volto adolescente e raffinato del giovane Sant’Ippolito, con mantello e spada, l’unico che si rivolge verso l’osservatore; esperienza vuole che di solito dietro questa tipologia di volti si celi l’autoritratto dell’autore.

Pieve di S. Ippolito - particolare

Ebbene dalla sovrapposizione dei tratti somatici tra questo viso e alcuni autoritratti di un famoso pittore, si denota la somiglianza alquanto stupefacente con Raffaello, soprattutto con un altro autoritratto, (tra l’altro perfettamente sovrapponibile) e custodito all’Ashmolean Museum di Oxford.

Autoritratto di Raffaello

Tale ipotesi non è riconosciuta da tutti gli studiosi. Ma perché un affresco così pregevole, d’insolita qualità stilistica, in una piccola pieve di provincia?  La presenza di Raffaello a Siena risulta documentata, perché invitato dallo stesso Pinturicchio a collaborare agli affreschi della Libreria Piccolomini interna al Duomo di Siena, nell’intento di svecchiare il suo stile ormai in fase di declino. Il contratto per gli affreschi della Libreria Piccolomini, commissionati da papa Pio III al Pinturicchio, venne stipulato nel 1502. Pinturicchio e la sua bottega completarono gli affreschi intorno al 1507. E’ possibile quindi, che il gruppo di artisti umbri, prima della stipula del contratto, nell’anno del Giubileo del 1500 si fossero fermati ad Asciano, (ospiti dei Gesuati? Non esistono documenti, ma la tradizione li vuole come residenti negli stabili limitrofi alla chiesa in un periodo imprecisato).  La presenza dei due Santi, simboli della cristianità, Pietro e Paolo a lato della Vergine prima ancora dei santi titolari della chiesa stessa confermerebbe infatti una committenza partita da Roma, dalle istituzioni vaticane, da dove si gestiva il decoro delle vie di pellegrinaggio (in questo caso la Lauretana) a completamento delle varie iniziative di abbellimento e arricchimento dei luoghi sacri volute da papa Alessandro VI Borgia in occasione del Giubileo del 1500. Un’altra scoperta (anche questa non condivisa da tutti i critici) ci rimanda al pregevole autore, la probabile firma sul colletto del S. Ippolito. Sulla superficie pittorica del colletto del giovane santo, si percepisce la celeberrima firma RAPH. V. (in latino RAPHAEL URBINAS) benchè leggera, tenue, corrosa e chiara.

Pieve di S. Ippolito

Se così fosse tutto avrebbe una spiegazione, poiché come risulta dalle relazioni dei pellegrinaggi del tempo, fra i vari impegni del buon pellegrino lauretano, vi era quello di dedicarsi a Dio alla vigilia della partenza per un gioioso ma anche faticoso e pericoloso percorso penitenziale. È possibile quindi che questa firma scopra un Raffaello, in quanto peraltro cittadino marchigiano, intimamente devoto alla Madonna di Loreto, come confermano vari e nascosti accenni iconografici, visibili in numerosi suoi dipinti, realizzati a Città di Castello, a Firenze o a Roma. Tipici sono infatti i suoi sfondi paesaggistici con il boschetto di alloro con la chiesetta in cima, le ricorrenti immagini della Sacra Famiglia o le varie raffigurazioni con la Fuga in Egitto. E ancora particolari di nicchie, edicole o loggiati presenti nelle sue molte rappresentazioni mariane, starebbero a ricordare la Santa Casa di Loreto. Per cui “cosa c’era di meglio, allora per un giovane artista, la cui forte pressante personalità creativa, stava per esplodere, che debuttare ufficialmente su un percorso lauretano, sotto la protezione della Madonna. Un’ultima considerazione emersa in fase di restauro che avvalora la tesi Raffaello è la certezza che l’autore della parte destra dell’affresco (quella con il S. Ippolito) sia stato mancino, e questo è stato evidenziato dai segni rimasti sulla superficie pittorica dei poggia bracci utilizzati per dipingere.


Tratto dalla pubblicazione “ECCLESIAE Strutture religiose del territorio di Asciano.” a cura di Francesco Brogi. Tipografia Rossi 2016.